Il Senatur Bossi |
Se Bossi finge tranquillità dopo la bocciatura del decreto di attuazione del federalismo municipale in Commissione non cosi' il popolo leghista. In queste ore , nelle sedi leghista in ispecie in Veneto, la delusione della base leghista è alle stelle. Alano di Piave, Padova, San Giorgio in Bosco ma anche Bergamo, Bardolino e altri centri gli elettori leghisti stanno manifestando il loro disappunto. Molti di loro danno la colpa della mancata approvazione del decreto all'alleanza con il PDL che ritengono un partito rivolto solo alla difesa strenua dell'indifendibile Berlusconi. Serpeggia la volontà netta di andare alle elezioni per rinforzare la posizione della Lega in prospettiva e cercare altre allenza con coalizioni non attaccabili. Dice Pietro, muratore di Bardolino " è veramente incredibile la delusione di oggi. Non sopportiamo più che le nostre tasse debbano servire ad ingrassare chi del lavoro fa un hobby. I nostri rappresentanti leghisti devono seriamente pensare di abbandonare il PDL." E non è una voce isolata. Molti di loro danno la colpa allo stile di vita non proprio di ecumenico del Premier. " La colpa è di Ruby e di tutte le altre", incalza Roberto, artigiano di Montorso Vicentino, "non è possibile che per colpe non nostre dobbiamo rimandare ancora il federalismo".
Intanto la coalizione PDL e Lega è attualmente riunità nei Palazzi a studiare la prossima contromossa. I portavoce del PDL si affannano a dire che il pareggio ( quindici voti contro e quindici a favore) non significa necessariamente che il decreto è stato bocciato. Ma il regolamento all'art 7 dice che il pareggio tra i voti contro e a favore significa automaticamente bocciatura del decreto.Gianfranco Fini è perentorio: "è' una situazione senza precedenti. Chi conosce le regole della Bicamerale sa che in caso di pareggio il provvedimento si intende respinto". E Bossi? Dopo aver detto ieri che in caso di non approvazione del decreto la Lega avrebbe staccato la spina al PDL oggi chiarisce che non ci saranno elezioni. Ma lo aspetta un popolo leghista infuriato nelle valli padane. C'è da scommettere che non sarò facile per i vari Calderoli, Zaia e compagnia cantante calmare le furie della base leghista.
28 ottobre 1922
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