
Tirare la cinghia fu la parola d'ordine. Si doveva ad ogni costo diminuire quel "mostro" di debito. E allora taglia qui, taglia là ( fatta salva la spesa per i costi della politica!) sembrò che il deficit fosse sotto controllo. Ne fece per primo le spese il welfare la cui importanza strategica ancor oggi non è appieno ben intesa. Ma un nefasto giorno arrivò l'euro. La nuova bellissima, invidiata moneta costò cara a noi italiani . Ci voller ben millenovecentotrentasei lire e ventisette centesimi per averla in tasca. Pagammo la debolezza della nostra vecchia e cara lira. Dapprima tutti erano entusiasti della novità. Tutti erano felici. Ma ben presto ci si accorse del divenire del baratro. I prezzi salirono, dapprima nella fase della distribuzione dei prodotti per poi espandersi anche alla fase della produzione. Divenne difficoltoso arrivare a fine mese. La colpa era della moneta unica? Decisamente no. La colpa fu della mancanza di un serissimo controllo dei prezzi. Oggi l'euro , nei fatti, ci ha salvati dal disastro finanziario dei conti pubblici. Senza di esso avremmo fatto la fine dell'Argentina. Ma sta di fatto che la crisi è oramai evidente e ben radicata. Che fare? Ecco una semplice ricetta. Primo. lo Stato deve ritornare ad avere un ruolo forte. Controllo sui prezzi, drasticissima riduzione dei superflui costi della politica, autonomia energetica dall'estero, redistribuzione del reddito nazionale per far resuscitare i consumi interni di beni e servizi. Secondo: è essenziale applicare tutte le leggi antitrust esistenti e se del caso farne di più efficaci. Terzo: ricercare con tutti i mezzi a disposizione la piena occupazione dei fattori della produzione, non importa come , deve essere fatto. Quarto: ridurre la galoppante influenza della globalizzazione sulla nostra economia. Si deve far presto. Perdersi nelle mille polemiche in cui affogano i nostri politici potrebbe essere fatale. Operare e non discutere. Ed in questo l'attuale Governo non da' segnali di azione.
28 ottobre 1922
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